martedì 6 novembre 2012

L'importanza di un perchè

Mia sorella Polly ha un’amica amicissima da più di 10 anni. Quelle amicizie che nascono sui banchi di scuola e che si insinuano in una famiglia contagiando tutti, genitori e sorelle comprese. Non è amica tua, ma è amica di tua sorella, e se per 13 anni hai seguito gli aggiornamenti sulla sua vita passo per passo, fa parte del tuo mondo tanto quanto un parente che non senti mai, ma per il quale ti fa piacere essere aggiornato.
Questa ragazza si chiama Alessia Bottone e scrive un meraviglioso blog danordasudparliamone

che da voce ad una generazione di ragazzi ai quali è stato negato il futuro. La mia piccola Polly la aiuta nelle retrovie.
Ale e Polly hanno 8 anni in meno di me, eppure sembra un abisso. Sono stata fortunata, i miei coetanei sono stati fortunati, nel Triveneto di quegli anni siamo stati gli ultimi a godere degli scampoli di boom economico, di contratti a tempo indeterminato post diploma, ad avere il lusso di poter anche cambiare lavoro per migliorare la propria posizione. Ci siamo potuti costruire un futuro, lavorando, mettendo da parte un piccolo gruzzolo per poi acquistare una casa con un mutuo. Abbiamo avuto i figli a 30 anni. Abbiamo respirato aria intrisa di fiducia e futuro e non ci rendevamo nemmeno conto che la palla di cristallo nella quale eravamo immersi si stava per rompere travolgendo i ragazzi che venivano subito dopo di noi. 8 anni non sono nemmeno un cambio di generazione, come è stato possibile stravolgere così il mondo? Dove si è inceppato questo meccanismo? Perché ora chi ha una laurea e un master trova solo uno stage con rimborso spese?
Non ha stabilità, non ha accesso ai mutui, non ha nemmeno il coraggio di sognare una famiglia che non sia quella d’origine che gli assicura un tetto sulla testa.
Non è giusto.
I nostri genitori ci hanno cresciuto a pane e “qui non lavora solo chi non ha voglia di lavorare”, inculcandoci due concetti fondamentali, il rispetto per il lavoro come veicolo per poter vivere con dignità una vita e il terrore di non lavorare per non cadere nell’etichetta peggiore “lo sfaticato”. Cancellare tutto questo non è possibile, è radicato dentro di noi come il “non rubare”, “non uccidere” e quindi rimane solo l’alternativa del convivere con questa nuova realtà, con tutto il peso sociale che una cosa del genere porta. Vergogna, umiliazione, smarrimento, delusione, paura del futuro e del prossimo.
Le cose non possono continuare così, io non posso pensare che questo sarà il futuro delle mie figlie. Perché se qualcosa non cambia anche loro saranno coinvolte in questa deriva.
Alessia e i suoi amici hanno lanciato la campagna dei Perché. Una foto con un perché e due domande. Tutto da pubblicare sui social network.
Ieri ci sono stati perché che mi hanno commosso, mi hanno lasciato tanta amarezza, mi hanno fatto sentire quasi in colpa.
Spero che tutti questi sentimenti possano muovere qualcosa. Se la ruota gira per noi può solo girare in negativo, dobbiamo ricordarcelo ogni santo giorno. Difendere il proprio orticello non è più la soluzione, soprattutto perché anche i nostri figli crescono e un giorno saranno loro a chiedere perché.
Ecco i miei perché:
Perché ci hanno ucciso la fiducia e ci hanno lasciato solo una cinica amarezza? Perché le mie figlie avranno un futuro peggiore del mio?

Nessun commento:

Posta un commento